Nell’esaminare la produzione scientifica di Micheli non si può fare a meno di notare la sproporzione tra l’imponente mole di materiale manoscritto e l’esiguità di quello giunto alla fase finale della stampa. Lui vivente, soltanto due opere passarono sotto i torchi degli stampatori: il lavoro sull’Orobanche – pubblicato nel 1723 e più volte ristampato, con l’aggiunta del Ragionamento dell’abate Montelatici, fino al 1754 - e quel Nova plantarum genera che gli valse, fra l’altro, la fama di “padre fondatore della micologia”. Solo poco più di dieci anni dopo la sua morte fu pubblicato – a cura dell’allievo Giovanni Targioni Tozzetti e su commissione della Società Botanica Fiorentina – nel 1748 il Catalogus plantarum horti cesarei florentini. In sostanza, una sola opera di spessore scientifico anche “quantitativo” – il Nova plantarum genera – è stata pubblicata per cura del suo autore, nonostante il medesimo fosse già uno scienziato noto ed acclamato anche fuori dei confini del Granducato e dell’Italia intera.
Le ragioni di questa apparente contraddizione sono da ricercare non solo negli ancora elevati costi di stampa, ma forse soprattutto nel fatto che la maggioranza dei manoscritti micheliani si configura più come raccolta di materiali preparatori che come studi già elaborati e conclusi. In questo senso proprio l’instancabile attività di raccoglitore – e non esclusivamente di piante – unita ad una morte per malattia che lo ha colto quando era ancora in piena attività, ha in parte frenato l’attività di sistemazione e studio dei materiali raccolti e quindi la redazione di testi pronti per la stampa.
Non è un caso che l’opera pubblicata postuma a cura del suo allievo sia un Catalogus, cioè un qualcosa che non necessitava di particolare rielaborazione per poter essere dato alle stampe. Nella biografia del maestro, Giovanni Targioni Tozzetti dichiara anche di aver pubblicato parti dei manoscritti integrandole in alcuni suoi scritti, in particolare nei volumi delle Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana (Targioni Tozzetti 1858); ma non è facile distinguere fino a che punto si tratti di una vera e propria pubblicazione, ancorché parziale, delle carte micheliane e fino a che punto invece Targioni si serva di queste per arricchire di particolari una narrazione sostanzialmente sua. Neppure i titoli dati a queste parti dell’opera sciolgono il dubbio, anzi sembrano rafforzarlo. Si veda, ad esempio, il titolo in Targioni Tozzetti, 1753: Relazione del viaggio fatto l’anno 1733 dal dì 22 maggio fino al 21 giugno per diversi luoghi dello Stato Senese dal celebre bottanico Pier Antonio Micheli … distesa dal medesimo Micheli, con alcune annotazioni di Giovanni Targioni Tozzetti suo scolare, dove non è affatto chiaro se e come le annotazioni intervengano nei confronti dell’originale.
In ogni caso, dopo queste pubblicazioni postume – integrali, parziali o epitomate che fossero – un lungo silenzio cala sulle vicende editoriali dei manoscritti micheliani. Il risveglio dell’interesse avviene a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, in concomitanza con la pubblicazione del catalogo curato da Stefania Ragazzini e dovuto probabilmente sia a questa stessa pubblicazione sia alla rinnovata attenzione per la biodiversità e lo studio di specie coltivate pressoché scomparse. Proprio a questo scopo – individuazione e studio di specie antiche – i manoscritti offrono materiale in abbondanza, incontrando anche gli interessi di agronomi, storici dell’agricoltura e perfino imprenditori agricoli. Questo intreccio ha dato origine alla pubblicazione integrale del manoscritto sulle varietà di olivo coltivate nell’agro fiorentino (Baldini e Ragazzini 1998), che rappresenta finora la quarta ed ultima opera del Micheli giunta alla stampa ad oltre due secoli e mezzo dalla sua redazione.