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Nascita ed evoluzione della Società Botanica Fiorentina | Micheli e i contemporanei
Nascita ed evoluzione della Società Botanica Fiorentina
La nascita della Società botanica fiorentina è legata al piccolo Orto di Boffi nei pressi di Porta Romana che il medico e naturalista Niccolò Gualtieri e l’abate Giuseppe Gaetano Moniglia prendono in affitto dai Gerosolimitani per studiare le piante, coinvolgendo il Micheli e il matematico Giovanni Sebastiano Franchi. Micheli già dall’ottobre 1706 ha rapporti “ufficiali” con il Giardino dei Semplici di Firenze: nominato aiuto custode dell’omologo giardino pisano con una provvigione annua di 80 scudi ha infatti fra i suoi compiti anche l’obbligo di raccogliere piante per entrambi gli orti.
Perché dunque impegnarsi nella nuova avventura dell’Orto di Boffi? Micheli non può disporre del Giardino per i suoi studi, e i rapporti con il capo giardiniere Vannini sono pessimi: “creava ostacoli d’ogni sorta, mandandogli a male le piante raccolte con tante fatiche nei suoi viaggi ... E’ probabile che se il Micheli avesse trovata quivi più libertà d’azione non si sarebbe aggregato ai botanici della Società: egli dovette pensare dapprima di poter trovare nell’orticello di Via dei Boffi un campo più tranquillo e sicuro per le sue ricerche sotto il benevolo incoraggiamento di persone amiche ed inclinate alla botanica” (Baccarini, 1904).
Comunque sia la Società, costituita il 30 settembre 1716 (sulla lapide che ricorda la nascita della Società la data è il 1. ottobre) dai quattro e formalizzata l’anno successivo (Franchi Direttore, Moniglia Segretario, Gualtieri Custode, Micheli Provveditore), “fu essenzialmente una creatura Micheliana” (Corti, 1980): “l’anima di questo movimento era Pier Antonio Micheli; sotto la sua ispirazione e il suo impulso la Società fiorì, allargò rapidamente le sue basi, e si segnalò in modo così distinto per la sua attività da indurre ben presto il Granduca a concederne il trasferimento dal piccolo Orto di Boffi presso la Porta di S. Piero a Gattolino, ove era nata, al celebre Giardino dei Semplici” (Passerini, 1938), con dotazione annua di 350 scudi e la possibilità di coltivare anche semplici, oltre che piante da fiore.
Ma il sodalizio originario si incrina quasi subito: all’ipotesi di un allargamento ad altri soci Gualtieri e Moniglia oppongono resistenza, e nell’aprile 1718 sono già fuori entrambi (rientreranno solo nel 1732). L’immissione di nuovi e influenti soci, la considerazione di cui gode Micheli, e probabilmente anche la volontà granducale di ridurre le spese di gestione determinano l’affidamento del Giardino alla Società, che si dota di nuovi “capitoli”. Micheli acquisisce via via spazi per la coltivazione delle piante che va raccogliendo durante i suoi viaggi, ma le frizioni con Vannini non diminuiscono. Anzi, ancora nel 1728, per le sue sperimentazioni Micheli dovrà chiedere ospitalità alla famiglia Targioni: “Pregò il Dottor Benedetto mio padre suo buon amico, a lasciargli fare tali esperienze in un vaghissimo orto pensile che avevamo in nostra casa … giacché nel giardino de’ Semplici spesso si trovava a vederle perire sul buono, per la negligenza ed anche malizia dei Giardinieri, che furono sempre suoi nemici” (Targioni-Tozzetti, 1858). Dunque, la conferma di un Micheli avversato dai giardinieri e persino “sotto tutela” da parte di non pochi soci (Baccarini, 1904).
Sono comunque anni di grande attività: riunioni, conversazioni, visite di importanti naturalisti esteri, anche se viene rimproverata una scarsa attenzione a esposizioni, letture pubbliche e orazioni, che solo a partire dal 1733 saranno introdotte (da ricordare almeno quella di Antonio Cocchi del 2 settembre 1734, pubblicata all'interno dell'Introduzione al Catalogus plantarum Horti Caesarei Florentini). Sempre nel 1734 la Società assume il titolo di Filosofica. Tuttavia la morte di Micheli mette in luce una crisi forse già latente: come successore è nominato l'allievo Giovanni Targioni, che conserverà la carica fino al 1746 quando, amareggiato dal mancato riconoscimento economico (ma non solo economico) dell'attività svolta, lascerà l'incarico al Manetti.
La Società prosegue fra alti e bassi (economici, di rapporti fra i soci e scientifici): “a parte lo sfacelo del Giardino dei Semplici, anche la Società Botanica Fiorentina aveva una vita sempre più difficile” (Maugini, 1988). Il progressivo spostamento di interessi verso temi più spiccatamente agrari ne favoriranno la soppressione e il passaggio del Giardino dei Semplici all’Accademia dei Georgofili con motuproprio granducale (17 maggio 1783): “S.A.R. vuole che, abolita la Società Bottanica, sia consegnato il Giardino dei Semplici all'Accademia dei Georgofìli affinché possino fare eseguire in esso quelle esperienze che si crederanno utili all'Avanzamento della Agricoltura”.
Ristretto della vita del celebre dott. Niccolò Gualtieri patrizio fiorentino, riprodotto nell'archivio Impronte Digitali, parla dalla pagina 13 della Società botanica fiorentina.
Micheli e i contemporanei
A giudizio unanime di pressoché tutti i suoi biografi, Micheli fu sostanzialmente un autodidatta. I suoi rapporti con gli altri botanici sono quindi successivi all’inizio della sua attività. I primi “botanici” con i quali entra in contatto sono alcuni monaci vallombrosani come Virgilio Falugi, Bruno Tozzi e l’abate Biagio Biagi.
Più che di veri e propri “maestri”, si trattò pero di personaggi con un forte interesse per la botanica – come accadeva spesso in quell’epoca ai monaci, e in particolare ai vallombrosani – che lo incoraggiarono a coltivare i suoi interessi nel campo. In particolare, gli ultimi due gli fecero conoscere il metodo di classificazione messo a punto dal botanico svizzero Gaspard Bauhin, il primo ad usare un sistema di nomenclatura basato sui binomi.
Fin dall’inizio della sua attività di erborizzazione la sua fama si sparse nell’ambiente. Influenti personaggi fiorentini, per finire con lo stesso Granduca Cosimo III, sostennero e finanziarono le sue ricerche e Micheli iniziò ad intrattenere rapporti con influenti botanici italiani e stranieri. Fra questi ultimi vi fu quasi subito anche Joseph Pitton de Tournefort, propugnatore di una chiara distinzione tra genere e specie nonché ideatore di un metodo di classificazione che fu usato da molti – Micheli compreso – fin quando non fu soppiantato da quello messo a punto da Linneo.
La corrispondenza di Micheli - confluita nell’archivio dell’allievo Giovanni Targioni Tozzetti e da quest’ultimo largamente utilizzata nella compilazione della biografia del maestro – documenta chiaramente i rapporti intrattenuti con molti dei più influenti botanici italiani e stranieri dell’epoca. Oltre a quello di Tournefort si segnalano in particolare, per l’importanza dei personaggi e la frequenza dei contatti, i nomi di Jan Commelin, Antoine de Jussieu, James Petiver e soprattutto William Sherard. Quest’ultimo, rientrato in patria dopo una permanenza di alcuni anni (1703-1716) a Smirne (Turchia) – dove aveva svolto la funzione di console inglese e aveva accumulato una enorme fortuna – aveva usato le sue sostanze per incoraggiare e sostenere anche finanziariamente molti giovani botanici “emergenti”, fra i quali proprio Micheli; forse le umili origini di entrambi, oltre che la stima condivisa, avevano contribuito ad instaurare questo rapporto di protezione e di sostegno . In ogni caso fu proprio Sherard a contribuire in modo decisivo alla notorietà di Micheli in ambito europeo.
Nel 1724 inizia anche un rapporto epistolare con una singolare figura di diplomatico, uomo d’armi e scienziato, il conte bolognese Luigi Ferdinando Marsili. Autore di studi sul Bosforo e sul Mediterraneo che gli hanno fruttato la fama di iniziatore della moderna oceanografia, Marsili aveva dato alle stampe nel 1714 una Dissertatio de generatione fungorum, all’inizio della quale aveva ripercorso gli studi dei botanici che in precedenza avevano trattato la materia: Malpighi, Clusius, Boccone e altri. Non viene mai citato Micheli, del quale probabilmente il Marsili all’epoca ignorava il lavoro sui funghi; viene invece più volte rammentato proprio il succitato Sherard e non è quindi improbabile che proprio il botanico inglese, a conoscenza delle indagini micologiche di Micheli, avesse messo in qualche modo in contatto i due naturalisti.
Per quanto riguarda i rapporti con personaggi lontani dagli interessi botanici, Targioni Tozzetti ci informa anche dell’esistenza nell’epistolario micheliano di due lettere del principe Eugenio di Savoia. Non ne conosciamo il contenuto, ma possiamo ipotizzare che ad aver fatto da tramite tra il naturalista e il condottiero sia stato proprio il Marsili, compagno d’armi del principe nelle campagne contro i turchi nei Balcani e in particolare in quella che portò nel 1686 alla liberazione di Buda.
Per i nomi citati vedi anche La galleria dei personaggi