Il duello nel Risorgimento

La letteratura dell'età risorgimentale propone una lettura del duello in chiave patriottica, come rivendicazione dell’onore della nazione da fare e del valore degli italiani, politicamente divisi e sottomessi a potenze europee, ma ansiosi di riscatto: è il momento della rappresentazione eroica della pratica duellistica, sul modello medievale, come prova di coraggio e anelito alla giustizia. Tommaso Grossi, Marco Visconti, edizione 1862, p. 279

Emblematici sono la sfida tra Gabriele Pepe e Alphonse de Lamartine, che ha dipinto nei suoi versi l’Italia come una sorta di "terra dei morti", nel 1826, e il ricorrente topos del duello cavalleresco nel romanzo storico, dalle opere di Guerrazzi all'Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta di Massimo D’Azeglio (1833), al Marco Visconti di Tommaso Grossi (1834), veri bestseller, tra le prime opere illustrate dell'editoria italiana, che riattivano in chiave patriottica antichi episodi duellistici medievali: «...Voi e chiunque dirà gl’Italiani essere traditori e poltroni, mente per la gola...», è il grido con cui si lancia la sfida nell'Ettore Fieramosca di D'Azeglio.

Ma letture eticamente più problematiche della pratica del duello si affacciano, già negli stessi anni, nei Promessi sposi di Manzoni (1827, 1840) e in altre narrazioni storiche o anche di vita contemporanea, come in Fede e bellezza (1840) di Niccolò Tommaseo e nel "monumento alla plebe di Roma" dei Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioacchino Belli.

Intanto, sfide duellistiche per amore o per politica si consumano anche sui palcoscenici del melodramma, vera e propria fucina dell’identità nazionale, e sono un motivo ricorrente nelle parti figurative dei giornali satirici, per rappresentare in caricatura gli scontri politici.