Tra gli innumerevoli archivi, che hanno subìto l’alluvione e su cui la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana esercita la propria vigilanza e tutela, è qui esposto materiale documentario cartaceo e pergamenaceo appartenente all’archivio Alamanni Naldini Del Riccio, conservato in via de’ Servi, all’archivio della Società delle Belle Arti, ospitato nella Casa di Dante, nonché agli archivi Guicciardini Bardi di Vernio e Baldini Libri, al momento dell’alluvione collocati rispettivamente in palazzo Guicciardini sul lungarno omonimo e in palazzo Baldini Libri in via della Vigna Vecchia.
Le difficoltà incontrate nel recupero dello sterminato patrimonio documentario di Firenze e della sua provincia sono illustrate in I sommersi e i salvati. Gli archivi, l’alluvione e l’azione della Soprintendenza Archivistica per la Toscana, di Diana Marta Toccafondi
Archivio Alemanni Naldini Del Riccio
Dopo il 4 novembre, alla vista dei cumuli di fango che celavano molti archivi fiorentini, la prima reazione fu di sgomento e, come ricorda Renzo Ristori, allora funzionario della Soprintendenza Archivistica, proprio nel caso degli archivi “le difficoltà erano accresciute dalla loro dislocazione in locali situati in luoghi dove non era agevole accedere nei giorni successivi all’alluvione” (Ristori 1967, p. 193). Ma la situazione doveva essere affrontata velocemente per impedire la formazione di muffe; dunque la Soprintendenza Archivistica per la Toscana, seguendo le direttive del Ministero, prese in consegna la documentazione danneggiata per portarla in luoghi asciutti dove si sarebbe potuta sottoporre a un primo trattamento. Così fu per le carte alluvionate dell’Archivio Naldini Del Riccio (Prunai 1967a, p. 100; Prunai 1967b, pp. 626-627) che furono trasferite nel centro operativo allestito presso il Consorzio dei tabacchicoltori di San Giustino Umbro, mondate dalla mota, interfoliate e introdotte nei forni solitamente utilizzati per essiccare le foglie di tabacco (Ristori 1966, pp. 550, 557). A luglio del 1968, l’intero fondo fu trasportato presso l’Archivio di Stato di Firenze e qui è rimasto fino al 1983, quando i proprietari ne hanno chiesto la restituzione. Contemporaneamente, sono state avviate da parte della Soprintendenza Archivistica grazie ai finanziamenti statali le operazioni di restauro di singoli pezzi archivistici, operazione che prosegue tuttora (Ristori 1966, p. 558; Archivi dell’aristocrazia fiorentina 1989, pp. 57-92; ANDR, Fondo moderno, “Alluvione”, passim). Al momento dell’alluvione, l’Archivio Naldini Del Riccio si trovava nel palazzo fiorentino dei Naldini di via dei Servi, nello “Scrittoio” situato al piano terreno, a sinistra dell’androne, entrando. Era un piccolo locale che si sviluppava in altezza, costruito a pendant del vano dello scalone settecentesco che si apre sulla destra. Gli scaffali erano dunque molto alti e il legno di alcuni di essi cedette all’ondata di acqua e fango che alle ore 10 del 4 novembre 1966 giunse dall’Arno, percorrendo vorticosamente via del Proconsolo ed entrando, presumibilmente, dal cortile sul retro. I proprietari, che erano fuori città per il ponte di Ognissanti, quando rientrarono trovarono un ammasso di mota e detriti di legno entro cui si celavano i registri e le filze, ormai trasformati in pezzi di fango. Si trattava delle carte delle famiglie Naldini, Del Riccio, e Alamanni, con i fondi aggregati Nerli, Marzimedici, Capponi, Rucellai, Strozzi, le carte delle fattorie e parte dei carteggi moderni Alamanni e Niccolini. L’origine di un tale coacervo di documentazione dipendeva, come spesso accade nel caso degli archivi familiari, dai passaggi del patrimonio da una famiglia all’altra, a seguito di matrimoni, eredità, meno frequentemente per compravendite (Archivi dell’aristocrazia 1989, pp. 57-82;, schede dei complessi archivistici: Naldini Del Riccio, famiglia; Del Riccio, famiglia; Alamanni, famiglia, e dei soggetti produttori collegati). Il disegno esposto in mostra (a) appartiene al Fondo Naldini, ovvero alla documentazione patrimoniale della famiglia originaria di Prato e già affermata in loco quando, nel corso del XIV secolo trasferì parte dei propri interessi a Firenze. Nel 1527, Domenico di Giovanni Naldini acquistò un primo nucleo delle case dei Tedaldi, situate fra la piazza del Duomo e la via dei Servi, in un luogo strategico per chi, come lui, si occupava di manifattura e commercio di tessuti. Qui Domenico iniziò la costruzione del palazzo di famiglia, quello rappresentato nel disegno, con gli ambienti adatti al commercio delle stoffe, al piano terreno, e quelli per la dimora della famiglia ai piani alti. Il progetto in questione appartiene però a un successivo intervento (Archivi dell’aristocrazia 1989, pp. 75- 76), collocabile fra il 1763 e il 1770 (ANDR, Fondo Naldini, n. 277, inserto 63) quando la famiglia, ormai nobilitata, sentì la necessità di avere a disposizione ampi ambienti adatti alla vita di rappresentanza dei suoi membri. Il disegno rappresenta le modifiche della facciata del palazzo rivolta verso via dei Servi, in vista dell’aumento del corpo di fabbrica, per un lungo tratto verso la chiesa di San Michele Visdomini. Le spese compiute in quegli anni sono descritte in dettaglio nella contabilità tenuta da Domenico Andrea di Ottaviano Naldini, dove però non si cita mai il nome del progettista dell’edificio e dunque autore del disegno. L’architetto granducale Gaspare Paoletti ebbe invece voce nelle vertenze sorte fra i Naldini e alcuni confinanti (ANDR, Fondo Naldini, n. 277, inserto 67) e può essere ipoteticamente indicato come l’autore del progetto. Il registro esposto (b), con la sua preziosa rilegatura in cuoio impresso in oro e i legacci di raso verde, risponde anch’esso, in altro modo, all’operazione di nobilitazione di un’altra famiglia fiorentina, quella dei Del Riccio. Nel volume si conservano infatti gli appunti di un Libro di ricordi familiari, annotato con pazienza da Luigi Del Riccio (1556-1631) negli anni precedenti alla sua morte, e proseguito dai figli Francesco Maria, Giulio e Leonardo. Le scritture si alternano così con il ricordo di matrimoni, nascite e morti, tracciato da mani diverse, fino al 1771, con la notizia della morte di Filippo Del Riccio (1704-1771) e della sua sepoltura nella chiesa di San Firenze. Infatti, l’anno successivo morì anche il fratello di questi, Leonardo, ultimo Del Riccio. La consuetudine di compilare i libri di ricordi proveniva alle famiglie fiorentine, e a quelle delle città di origine mercantile, dall’abitudine dei mercanti e dei banchieri alle scritture economiche. I libri contabili, dove talvolta venivano annotate, fra le spese e le entrate, i debitori e i creditori, anche le date degli eventi naturali che avrebbero condizionato la sorte del patrimonio, ovvero le nascite, i matrimoni e le morti, si trasformarono a poco a poco in zibaldoni familiari, che nel tempo si arricchirono anche di annotazioni di tipo personale. Con gli ultimi due registri esposti ci spostiamo in un altro ambito familiare, quello degli Alamanni, altra famiglia fiorentina di origine mercantile. Si tratta in questo caso di due registri di inventari di scritture. Il primo (c), compilato nel mese di agosto nel 1797 descrive le “Scritture ritrovate nell’Archivio della Casa Alamanni posta nel Fondaccio di San Niccolò oltr’Arno”, in occasione delle divisioni in corso fra le eredi di due rami della famiglia: Maddalena Serzelli, vedova di Francesco Alamanni ed erede del ramo di Piero che aveva dato i natali al celebre poeta Luigi Alamanni, morto esule in Francia nel 1556, e Maddalena Alamanni, erede del ramo di Andrea e moglie di Pierfilippo Uguccioni che nel 1829 adottò il cugino Rodolfo Niccolini e lasciò il nome e i beni della sua famiglia al figlio di questi, Luigi. In tutto sono elencati 184 registri e 174 filze fra atti patrimoniali, ricevute e cause. La loro descrizione analitica, ivi compilata, si rivela oggi particolarmente preziosa perché molti di quei documenti risultano al momento ancora irreperibili. Il secondo registro (d), restaurato da Giuseppe Masi nel 1984 a cura e per conto della Soprintendenza Archivistica per la Toscana, era stato compilato fra il 1801 e il 1802 da padre Pellegrino Niccoli, e descrive invece la documentazione passata a quest’ultima Alamanni Uguccioni e da lei alla famiglia Niccolini. Su commissione di Maddalena, il sacerdote aveva prima riordinato l’archivio, dividendo i documenti secondo le sei famiglie di appartenenza e li aveva disposti in fascicoli in ordine cronologico e in questo ordine descritti. Egli stesso, a conclusione del suo lavoro, ne aveva annotate le fasi per facilitare la ricerca dei documenti a chi ne avesse avuto bisogno. Questo e i repertori degli Archivi Naldini e Del Riccio sono ancora oggi a disposizione di chi sia interessato alla documentazione ivi contenuta. Dopo le migrazioni seguite all’alluvione di cui abbiamo detto sopra, infatti, le carte sono di nuovo poste secondo il loro antico ordine e la loro consultazione è aperta a chi ne faccia motivata richiesta. Le notizie sull’alluvione sono tratte dalle testimonianze dei marchesi Filippo e Lorenzo Niccolini che qui ringraziamo anche per la rilettura del testo.
Rita Romanelli
Bibliografia: a) Archivi dell’aristocrazia fiorentina 1989, pp. 75-76.
Bibliografia del catalogo a stampa
Archivio Guicciardini di Lungarno
Nel 1966 l’archivio dei conti Guicciardini del ramo di Ferdinando di Lorenzo si trovava nelle stanze situate al piano terreno, a destra dell’androne del palazzo di famiglia sull’omonimo lungarno, lungo la riva sinistra del fiume. Era consuetudine che gli archivi delle famiglie patrizie si trovassero al piano terreno, perché lì tradizionalmente lavoravano gli addetti all’amministrazione della famiglia e lì si erano stratificate nel tempo le memorie degli avi. Gli archivi familiari, nati dalle attività legate al commercio e alla produzione manifatturiera, alla gestione del patrimonio e di quello agricolo in particolare, contenevano documentazione antica e moderna il cui interesse non si spegneva, perché i patrimoni continuavano a essere gestiti all’interno dell’azienda di famiglia (Archivi dell’aristocrazia fiorentina 1989, pp. 107-137;, schede dei complessi archivistici: Bardi di Vernio, famiglia; Guicciardini ramo di Ferdinando di Lorenzo, famiglia, e dei soggetti produttori collegati). Quando il Palazzo del lungarno Guicciardini era nato, nella seconda metà del XVI secolo, vi dimorava il ramo fiorentino della famiglia dei conti Bardi di Vernio (Archivi dell’aristocrazia fiorentina 1989, pp. 119-120). Solo nel 1840, dopo che il palazzo e i beni di quel ramo dei Bardi erano passati, nel 1810, a Ferdinando, il secondogenito di Lorenzo Guicciardini, il palazzo mutò il suo aspetto e voltò le spalle alla vecchia facciata, che dava sulla stretta via S. Spirito, per guardare l’ampio alveo dell’Arno, nel punto dove si allarga prima della pescaia di Santa Rosa. Il bel portale bugnato ideato da Giuseppe Poggi fu anche il varco che l’acqua trovò il mattino del 4 novembre, fra le 9 e le 10, quando scavalcò la spalletta, nonostante il vano e illusorio tentativo del conte Guicciardini, sceso al pianterreno per serrare il portone. La porta finestra dell’archivio fece una certa resistenza, ma l’onda d’acqua e fango alla fine sfondò e andò a lambire i primi tre palchetti dal basso delle scaffalature che giravano intorno alle pareti delle stanze (Prunai 1967b, p. 614). Per fortuna gli armadi erano ben ancorati ai muri e non cedettero. Si vede ancora oggi, in alcuni registri, il segno di galleggiamento dell’acqua, dove si potrebbe mettere il segnale “Qui arrivò …”. All’indomani dell’evento, quando erano ormai affrontate le emergenze più impellenti, si ebbe il coraggio di entrare nelle stanze e di decidere sul da farsi). L’archivio era noto alle autorità sin da quando, nel 1941, Lorenzo Guicciardini ne aveva denunciato l’esistenza e solo nel 1964 ne era stata rinnovata la notifica di notevole interesse storico. Subito il Soprintendente Archivistico Giulio Prunai si fece sentire. Egli stesso, nell’immediata comunicazione sui danni agli archivi, inserì quello della Contea di Vernio come uno dei “tre archivi fiorentini di maggiore importanza e di più vasta consistenza, che abbiano riportato danni” (ivi, p. 611) e lo descrisse nel dettaglio (ivi, pp. 612-614). La decisione fu rapida e, diciamo ora col senno di poi, vincente (Ristori 1967, p. 194). Tutti i documenti, di carta e di pergamena, e tutti i libri della altrettanto ricca biblioteca furono trasferiti, a cura della locale Soprintendenza Archivistica, nella dimora di campagna, dove, nell’emergenza, furono provvisoriamente stesi ad asciugare nelle casse a stuoie di cannicci che vengono utilizzate durante la raccolta delle olive. Immediatamente, una squadra di ‘Angeli del fango’ seguì la carovana. Si trattava di un gruppo di studenti stranieri che la notte venivano ospitati nella Villa dell’Ombrellino e al mattino venivano smistati nelle varie sedi loro assegnate. I proprietari dell’archivio, in particolare la contessa Giuliana Guicciardini Gerini, e gli studenti lavorarono in villa per molte settimane: lavarono, interfogliarono, asciugarono fino a che tutte le carte furono messe in sicurezza. Il clima freddo, se da un lato mise a dura prova gli ‘Angeli’, dall’altro fu determinante per limitare l’emergenza di processi di ammuffimento. Negli anni, si è poi consolidata una collaborazione fra la Soprintendenza Archivistica e la proprietà per effettuare i restauri ai singoli pezzi, operazione che continua ancora oggi … Quarant’anni non bastano, titolava Francesca Fiorelli Malesci l’introduzione al catalogo di una mostra organizzata per la ricorrenza dell’alluvione del 2006, e neppure cinquanta: molti lavori sono ancora da fare, ma l’interesse non si è spento sulle memorie della famiglia dei Bardi, cui si aggiungono quelle dei due secoli di vita del ramo dei Guicciardini di Lungarno. L’atto di concordia, vergato nella pergamena Bardi restaurata da Milica N. Popovic nel 2015 ed esposto in mostra (a), risale al 13 ottobre 1346 e riguarda il noto Banco dei Bardi. Proprio in quel giro di anni, le compagnie bancarie fiorentine che si erano esposte con prestiti alle corti europee, stavano risentendo delle difficoltà finanziarie di queste ultime. Fu la bancarotta del Regno d’Inghilterra a coinvolgere la Compagnia dei fratelli Ridolfo e Filippo dei Bardi, fra il 1344 e il 1346 (Sapori 1926; D’Addario 1964a, pp. 281-282). Per questo motivo, i soci, ovvero gli investitori che vedevano annullato il valore delle loro cedole, avevano chiesto una mediazione a una deputazione di probi viri fiorentini, eletta dagli organi della Repubblica. L’atto in mostra è il decreto che imponeva alla Compagnia la quantità di denari da corrispondere ai creditori, in più rate. Aveva fatto parte della Compagnia anche Piero di Gualterotto de’ Bardi che, nel 1332, aveva acquistato dalla suocera Margherita di Nerone Alberti la contea di Vernio (D’Addario 1964b, pp. 307-309). Dopo aspre battaglie con il governo di Firenze e l’abbattimento della mura del castello da questo imposto a Pietro nel 1344 (ABV, Pergamene, n. 637), nel 1355 i suoi figli furono ufficialmente investiti come vicari imperiali del feudo da Carlo IV (ivi, n. 645). La pergamena in questione non si trovava nell’archivio dei Bardi di Vernio ab antiquo, ma vi è stata introdotta solo nel 1777 quando Carlo de’ Bardi acquistò un gruppo di pergamene dei Bardi Gualterotti da Francesco Casini, il sacerdote pratese che da più di quindici anni era alle dipendenze del conte per compiere il riordino e la descrizione del suo archivio domestico (ABV, Fondo antico, I.1, inserti 6 e 7). I repertori dei documenti compilati da Casini sono ancora utilizzati per rintracciare i documenti e l’archivio Bardi di Vernio è oggi generosamente messo a diposizione degli studiosi da parte della proprietà, con il vigile controllo della Soprintendenza Archivistica per la Toscana. Alle carte personali di Lorenzo di Ferdinando Guicciardini (1879-1962), appartiene invece l’altro pezzo esposto (b), un album con i provini fotografici tratti dagli scatti fermati durante un viaggio di svago in Sardegna che egli intraprese, senza l’amata famiglia, nei giorni fra 10 e 21 maggio 1921 (AGP, Fondo Lorenzo Guicciardini, L-12, inserto 4). Il viaggio era stato organizzato a livello nazionale dal Touring Club Italiano e vi parteciparono 320 persone. La sostanziale perdita dei provini, il cui restauro è stato posticipato per il grave impegno economico che esso avrebbe comportato, è compensata dalla presenza in archivio dei negativi che sono stati sviluppati in digitale proprio in occasione della mostra. Le immagini rappresentano un ambiente arcaico e fiabesco e rispondono agli appunti che Lorenzo Guicciardini tracciò in un quadernetto. Dopo il viaggio in mare, in condizioni assai disagevoli, e l’arrivo a Terranova di Gallura, il periplo dell’isola era proseguito su una carovana di autocarri. Nel 1921, Lorenzo Guicciardini aveva quarantadue anni e già da tempo aveva iniziato a organizzare le proprie carte in un sistema archivistico pressoché perfetto. Grazie a questo è oggi agevole ripercorrere i suoi interessi per l’agricoltura, per la finanza e per la politica, e i suoi documenti potranno un giorno rappresentare un tassello, fra i tanti, per leggere gli eventi che hanno scosso l’Italia e l’Europa nella prima metà del Novecento. Le notizie sull’alluvione sono tratte dalle testimonianze dei conti Ferdinando e Anna Maria Guicciardini che qui ringraziamo anche per la rilettura del testo.
Rita Romanelli
Inediti
Bibliografia del catalogo a stampa
Archivio Baldini Libri
L’archivio della famiglia Libri di Firenze era custodito nell’antico palazzo situato entro la cerchia medievale delle mura della città e che ha l’affaccio principale su via della Vigna Vecchia, di fronte al Bargello. I tre scalini che salgono al cortile entro i due paracarri di pietra non hanno impedito all’acqua e al fango del 4 novembre 1966 di irrompere nel cortile e di spargersi nelle stanze del pianterreno fra le quali, appunto, quella a sinistra dell’ingresso dove si trovava l’archivio (fig. 1). Era presto e le acque dell’Arno, uscite verso le ore 4 e 30 dal varco di piazza Cavalleggeri, avevano invaso piazza Santa Croce e da qui si erano incanalate con violenza nelle strette vie che conducono verso piazza della Signoria. Il loro impeto aumentava nello spazio ristretto fra le case e i palazzi e ancora di più quando non trovava sfogo diretto, impedito dai tronchi, dalle auto e dai detriti che si portava dietro, dopo averli travolti. Dopo l’evento, Massimiliano Baldini Libri, dalla casa di campagna dove si trovava, giunse in città con i suoi uomini e con il trattore che gli fu necessario a recuperare il portone del palazzo, divelto e che giaceva in piazza San Firenze. L’altezza che l’acqua e il fango avevano raggiunto era tale per cui la documentazione dell’archivio, conservata in eleganti scaffalature lignee con gli sportelli a rete, fu completamente sommersa. Appena possibile, il vano fu vuotato, le filze e i registri ammassati nel cortile e successivamente trasferiti in campagna (figg. 2-3). Qui, tutta la famiglia fu chiamata a raccolta per prestare alle carte i primi soccorsi. Mondati del fango che li ricopriva, i documenti furono allora messi a stendere, su una fitta rete di fili che erano stati inchiodati ai piani alti della villa, quelli più asciutti e ventilati. Le giovani Baldini Libri ricordano ancora, nel periodo trascorso in villa, prima della ripresa della scuola, le giornate passate a tendere le carte, come il bucato. Tutto ciò fu compiuto con mezzi propri, e quelle operazioni hanno permesso ai documenti di conservarsi fino a oggi. L’esistenza dell’archivio, infatti, non era nota alle autorità e neppure dopo la catastrofe dell’alluvione si decise di chiedere aiuto agli organi dello Stato. L’archivio Baldini Libri faceva dunque parte di quei pochi casi in cui i proprietari “hanno preferito, con malfondato senso di gelosia e con esagerato sentimento di proprietà, più consono ad altri tempi che ai nostri, tener nascosti i danni subiti che far conoscere l’esistenza dei loro archivi” (Prunai 1967b, p. 610). Il giudizio è netto, ma in qualche modo attenuato dalla stessa abnegazione con la quale Prunai, direttore della Soprintendenza Archivistica, si prodigò nel salvataggio dei giacimenti documentari privati di Firenze e dei dintorni.Poi l’Archivio Baldini Libri fu messo in sicurezza in una parte della villa di campagna non utilizzata per la dimora e dimenticato per lunghi anni. Ogni tanto, in verità, qualcuno si avventurava per le scale e cercava di recuperare il bandolo della matassa, che regolarmente veniva abbandonato con un comprensibile senso di impotenza. Durante il salvataggio delle carte, infatti, queste erano state liberate dai legacci che le tenevano insieme, disperdendo quel tenue indizio che avrebbe permesso di recuperare il loro ordine. Solo nell’anno 2006, nel quarantesimo dell’alluvione, rispondendo a un annuncio per il censimento degli archivi di fattoria sul “Foglio notizie” dell’Unione Provinciale Agricoltori, il proprietario è entrato in contatto con i funzionari della Soprintendenza Archivistica per la Toscana e ha finalmente mostrato loro ciò che celava da molti anni. Una prima schedatura effettuata dal personale della Soprintendenza stessa ha permesso una quantificazione dei documenti per emanare il riconoscimento dell’interesse storico del complesso, cui è seguita una prima operazione di riordino del materiale. Operazione che ancora non ha visto l’auspicata conclusione, anche se molto è stato fatto. Dal 2009, la Soprintendenza Archivistica ha inoltre avviato, grazie ai finanziamenti statali, gli interventi di restauro che a oggi hanno interessato più di 20 unità archivistiche, compresi i due registri esposti in mostra, entrambi restaurati nell’anno 2012. La famiglia Libri era giunta a Firenze da Figline nel primi anni del XIV secolo e i suoi membri, dapprima attivi come notai e presto abilitati alle cariche politiche nella Repubblica, volsero i propri interessi verso la manifattura, il commercio e la finanza. Tali attività permisero successivamente ai Libri, fedeli alla casa dei Medici, di ascendere ai maggiori ruoli amministrativi e politici del Principato, a partire dal XVI secolo. Il ramo primogenito della famiglia si estinse nel 1904, con la morte di Guido di Leonardo. La figlia Camilla portò i beni del suo ramo in dote al marito, l’ingegner Agostino Baldini, a quel tempo proprietario del castello del Trebbio. Egli successivamente, con decreto del 1930, fece trasferire al figlio Massimiliano anche il cognome della moglie (, schede dei complessi archivistici: Libri, famiglia; Baldini Libri, famiglia; Del Rosso Vaiai, famiglia, e dei soggetti produttori collegati). Il registro contabile esposto (a) riguarda Andrea di Niccolò Libri (1457-1525) che, come il padre e il nonno, era iscritto alla fiorentina Arte dei lanaioli ed era titolare di una società a lui intestata e posta a Firenze “in Garbo”, ovvero nell’odierna via della Condotta dove si fabbricavano i panni più fini. Nel libro di Ricordanze dunque sono raccolte le cifre di debito e di credito in testa a ogni singola persona, ma che comprendono talvolta le spese personali insieme a quelle relative all’azienda, non essendo ancora aperta una contabilità separata. Nel frontespizio, leggiamo infatti, dopo la consueta invocazione del nome di Dio, della Vergine, dei santi patroni di Firenze e di tutti i santi del Paradiso: “Questo libro è d’Andrea di Nicola de Libri in sul quale scriverò tute mie faccende farò”. Alla carta 200 inizia invece una parte dedicata ai veri e propri “Ricordi”, con la trascrizione degli atti relativi alle compravendite dell’azienda e dei contratti mercantili, contrassegnati al margine dalle sigle delle società contraenti. Gli altri 33 registri a lui intestati e conservati in archivio rendono conto dell’attività della società di Niccolò nell’intero arco cronologico della sua esistenza, dal 1488 al 1525. Anche l’altro registro (b) riguarda un manifattore del settore tessile. Si tratta di Giovanni di ser Antonio di ser Battista Bartolomei (ante 1470-post 1525) che, insieme a Girolamo di Piero di Simone e compagni lanaioli in Firenze, aveva costituito in città una società mercantile. Nel registro sono annotate le quantità di lana consegnate ai filatori e la quantità di tessuto da loro restituito ai soci, fra il 1493 e il 1494, e fa parte della complessa contabilità tenuta dai manifattori fiorentini. I documenti relativi ai Bartolomei (poi Bartolommei) conservati nell’archivio Libri non sono molti. Si tratta di 19 registri che vanno dal 1450 al 1609 e fotografano l’attività di tre generazioni, dal padre Antonio, notaio, ai figli Piero, Giovanni, Bartolomeo, tutti lanaioli, al figlio Benedetto, impegnato nella gestione delle attività agricole a Panzano, e al nipote Bernardo, anch’egli lanaiolo a Firenze. La sorte ha poi voluto che Laura, una delle figlie di Bernardo di Benedetto Bartolomei, nipote del nostro Giovanni, sposasse Leonardo di Antonio Libri. A questa unione e al testamento di Caterina di Bernardo Corsini, madre di Laura, è dovuto il passaggio di alcuni beni e documenti familiari nell’archivio Libri. Le notizie sull’alluvione sono tratte dalle testimonianze di Anna e Valentina Baldini Libri che qui ringraziamo anche per la rilettura del testo.
Rita Romanelli
Inediti
Bibliografia del catalogo a stampa
Società delle Belle Arti - Circolo degli Artisti “Casa di Dante”
La Società Promotrice delle Belle Arti nasce nel 1843 dall’incontro tra un gruppo di notabili fiorentini dell’ambiente del cosiddetto ‘moderatismo’ e un gruppo di pittori operanti a Firenze. Si presentano qui uno dei registri delle deliberazioni (a) e un elenco dei componenti il Consiglio d’Arte, il comitato che si occupava di selezionare le opere da ammettere alle mostre (b). Fedele all’impegno politico che l’aveva caratterizzata fin dai moti risorgimentali, la Società delle Belle Arti, al deflagrare della Prima Guerra mondiale, si pose dalla parte dell’interventismo: si espone un documento del 1915, che riporta un elenco dei membri della Società richiamati e volontari (c), tra i quali troviamo Giovanni Mestica, scultore morto sul Carso nel 1915. Dopo la sua morte, il padre dell’artista chiese alla Società di rendere omaggio al sacrificio del giovane, presentando, alla “II Esposizione invernale toscana”, un ritratto del figlio eseguito da Giovanni Rossi (d). Durante le ostilità fu inoltre organizzata l’“Esposizione del Soldato”, relativamente alla quale abbiamo selezionato un elenco degli espositori (e), e il diploma del premio conferito a Llewellyn Lloyd (f ). Un difficile rapporto con il regime fascista e la Seconda Guerra mondiale incisero profondamente sulla vita del sodalizio che solo nel 1957, con l’innesto delle forze nuove del Circolo degli Artisti, ritrovò il fermento dei tempi passati, oltre che una nuova sede nella cosiddetta ‘Casa di Dante’. L’archivio dell’associazione, fino al 1961 ritenuto disperso, fu dichiarato di notevole interesse dalla Soprintendenza archivistica in quell’anno; nonostante alcuni tentativi intrapresi nel corso del tempo, solo nel 2014 è stato dotato di un elenco dei fascicoli. Con l’alluvione le carte, conservate al piano terra, furono trascinate fuori degli scaffali e subirono i pesanti deterioramenti ancora riscontrabili. L’archivio della Società, recuperato da volontari, venne sfollato, a cura della Soprintendenza, a Cortona, dove venne interfoliato; in seguito fu inviato alle Manifatture tabacchi di San Giustino Umbro e sottoposto ad essiccazione. Il 16 dicembre, quindi, le carte furono sottoposte a trattamenti antimuffa e il 22 vennero trasferite nel Convento di San Domenico di Fiesole; dopo poco tempo, però, furono riportate a San Giustino, a causa dell’aumento del tasso di umidità. Il 3 luglio 1968 i documenti furono ricoverati presso l’Archivio di Stato di Firenze, e, il 1° agosto 1969, furono restituiti alla Società delle Belle Arti, accompagnati da buste e cartelle per il ricondizionamento (ASABT, fasc. 42). Il fondo venne quindi collocato su un soppalco, nei due armadi metallici che lo conservano ancora oggi. Dato il gran numero di archivi accumulati alle Manifatture di San Giustino, e date le molteplici sedi che gli archivi sinistrati hanno occupato in pochi anni, alcuni di essi hanno subito imprevisti rimescolamenti, causati dalla forzata prossimità di fondi diversi e dalla situazione di urgenza; recentemente, infatti, sono stati ritrovati, in un archivio di famiglia fiorentino, alluvionato come quello della Società delle Belle Arti, alcuni documenti di quest’ultimo. In occasione del riordino delle carte, che ha portato anche all’organizzazione di due mostre documentarie (Patria nostra 2011 e La bellezza e l’orrore 2012), la Soprintendenza archivistica ha promosso e finanziato il restauro di carte sciolte, registri e documenti di grande formato quali diplomi o manifesti. Gli interventi sono stati eseguiti dalla ditta Andreoni Armando snc. di Scandicci, e le operazioni di restauro, dopo la necessaria rilevazione dello stato delle carte, sono consistite in: scucitura dei fascicoli, spolveratura e sgommatura, lavaggio per via umida e deacidificazione acquosa, asciugatura a temperatura ambiente, ricollatura, spianamento, riparazione di eventuali lacune con carta giapponese. I registri, infine, sono stati rifilati e sono state approntate le nuove coperte; quindi le carte sono state ricomposte secondo l’ordine originario e rilegate (ASABT, fasc. Società delle Belle Arti - Circolo degli Artisti “Casa di Dante”).
Claudia Borgia
Bibliografia: per i documenti c-f, cfr. La bellezza e l’orrore 2012, pp. 27, 31, 33, 37, 40, 43, 47-49 e illustrazione 14.
Bibliografia del catalogo a stampa