I sommersi e i salvati. Gli archivi, l’alluvione e l’azione della Soprintendenza Archivistica per la Toscana

Saggio di Diana Marta Toccafondi

Le motivazioni essenziali che mossero l’azione della Soprintendenza Archivistica per la Toscana, e in particolare del suo direttore Giulio Prunai, all’indomani dell’alluvione sono ben sintetizzate in queste parole di Augusto Antoniella:

La prima cosa che si può fare quando una calamità delle proporzioni di quella abbattutasi su Firenze la notte del 4 novembre 1966 minaccia di distruggere, oltre alla sicurezza degli uomini, il loro patrimonio di cultura, è scrollarsi di dosso lo sbigottimento per frapporsi tra la sventura e i suoi effetti […]. Nel caso concreto bisognò entrare in acqua – e non certo in senso metaforico – onde cercare di salvare, prima possibile, quella parte del materiale archivistico che era bruscamente passata, con dimensione di catastrofe, dalle cure gelose dei conservatori alla balìa delle acque e del fango.

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Interporsi tra la sventura e i suoi effetti per salvare un ‘patrimonio di cultura’: era questo l’imperativo categorico che animò un piccolo manipolo di persone costituito dal Soprintendente, due funzionari e un usciere (cui si aggiunsero successivamente sette persone inviate in aiuto da altri Istituti, oltre ai volontari). Fin dal giorno successivo all’alluvione, essi si adoperarono senza risparmiarsi per salvare quel tesoro fragile e prezioso, ma spesso misconosciuto, rappresentato dagli archivi pubblici e privati non statali dispersi sul territorio e affidati alla vigilanza e tutela della Soprintendenza Archivistica. Li animava la consapevolezza – che è sostanza e fondamento dell’azione di tutela – che la nozione di ‘patrimonio culturale’ ha a che fare con la nostra storia di comunità e di individui prima ancora di essere nozione giuridica e quindi copre, senza distinzione, non solo il patrimonio culturale di proprietà statale ma anche quello appartenente ad altri soggetti.

Per quanto riguarda gli archivi, la volontà di tutelare tutto il patrimonio documentario, al di là della sua appartenenza, affonda le sue radici in una lunga storia che viene dai liberi Comuni, passa per gli Stati preunitari e giunge fino all’art. 9 della Costituzione repubblicana. Una storia straordinaria, in cui la Toscana vanta dei primati indiscutibili. Una storia grazie alla quale gli archivi costituiscono, nel loro insieme, un sistema fortemente interconnesso di fonti da difendere e salvaguardare, perché in essi risiede la memoria della società in tutte le sue articolazioni: dai governi locali alle famiglie; dalle istituzioni culturali, assistenziali, educative, alle imprese; dalle associazioni alle singole persone (2).

Un patrimonio ricchissimo, conservato nei luoghi più diversi (case private, botteghe artigiane, istituzioni, scuole, uffici, imprese, luoghi di culto…) e pertanto difficile da conoscere e da difendere, soprattutto quando accadono eventi catastrofici come quello che si abbatté su Firenze e su tutta la Toscana nei primi giorni del novembre 1966.

La prima difficoltà che la Soprintendenza Archivistica – ufficio dotato di autonomia e personale solo dal 1963 – si trovò ad affrontare fu per l’appunto questa: individuare quanti e quali fossero gli archivi coinvolti nel disastro, prima a Firenze e poi in tutta la Toscana. Una difficoltà ribadita dallo stesso Prunai sia nei telegrammi inviati fin dal 5 novembre al Ministero dell’Interno che nelle più articolate relazioni che, con cadenza precisa e in un crescendo drammatico, si susseguironodal 13 novembre in poi, e costituiscono oggi una fonte preziosa per comprendere come si andasse disegnando la mappa del disastro e quali siano stati i primi interventi a partire dall’8 novembre.

Si informa che sin dal giorno 8 u.s. è stata iniziata una recognizione degli archivi esistenti nella Città e sottoposti alla vigilanza; in tale occasione è stata presa visione anche di archivi non vigilati. Il numero degli archivi di cui è stata fatta una recognizione non è per ora rilevante per la difficoltà sempre crescenti del transito per strade in cui sono ammassati detriti gettati fuori dai negozi e dalle case e per il fatto che nella maggior parte delle strade si può solo camminare a piedi a causa delle macchine e dei camions che ammucchiano e portano via tali detriti

così il soprintendente Giulio Prunai (fig. 1), il 13 novembre, riferiva al Ministero che l’indispensabile operazione di ricognizione e censimento degli archivi coinvolti nell’alluvione a Firenze era stata subito avviata, pur in mezzo a enormi difficoltà. Da questa e dalle altre relazioni dei giorni successivi, che oggi ci appaiono quasi come un ‘diario dal fronte’ dell’emergenza (3), apprendiamo che le ferite inferte al patrimonio archivistico fiorentino si rivelarono subito profonde e laceranti, andando a toccare archivi di famiglie e di istituzioni imprescindibili per la storia di Firenze (4). Ma per arrivare a stabilire almeno approssimativamente quale fosse l’entità del danno, sia a Firenze che nel resto della Toscana (ricordiamo che la competenza della Soprintendenza Archivistica si estendeva, così come oggi, a tutta la Regione), ci vorrà quasi un anno e un’indagine sistematica con cui si cercò di raggiungere il maggior numero di soggetti possibili. Dalla rilevazione emerse che nella sola città di Firenze erano stati 180 gli archivi, pubblici e privati, colpiti dall’alluvione, per un totale di circa 24.000 unità archivistiche danneggiate, cui andavano aggiunte almeno 600 pergamene, senza contare i documenti completamente distrutti (un dato che rimane ancor oggi, purtroppo, impossibile da quantificare) (5).

Un elemento interessante che denota questa fase di primo intervento emergenziale e ricognitivo è l’emersione di archivi di cui si ignorava l’esistenza, poiché un “malfondato senso di gelosia” (così si esprimeva lo stesso Prunai) dei proprietari aveva fino ad allora impedito alla Soprintendenza di prenderne visione. In realtà, sarà proprio dalla tragica esperienza dell’alluvione che prenderà le mosse una sorta di patto collaborativo tra la Soprintendenza e i proprietari di archivi che caratterizzerà, da allora in poi, lo stile del lavoro di tutela degli archivi in Toscana. Le azioni successive, quelle del recupero del materiale danneggiato e della sua prima asciugatura vennero eseguite, spesso con personale volontario e talvolta con l’aiuto degli stessi proprietari, in fasi diverse: quando era possibile con il trasferimento degli archivi in depositi asciutti e con operazioni ripetute più volte di interfoliazione, quindi con il trasferimento degli archivi in vari centri di raccolta, in particolare a Cortona, Prato, Perugia, Siena, infine con il trasferimento a San Giustino Umbro per l’essicazione nei forni del Consorzio dei tabacchicultori. Tutte operazioni che avrebbero richiesto molte più risorse umane ed economiche di quante ne fossero in realtà disponibili. In una lettera ad un collega datata 16 dicembre 1966 Giulio Prunai, a cui non difettava pragmatismo e ironia, così scriveva:

Noi siamo sempre in ballo e bisogna ballare. Le Gallerie assorbiscono la maggior parte dei fondi internazionali. All’Archivio resta poco. Alla Sovrintendenza nulla e, se si seguita di questo passo, tutti gli spostamenti fatti di archivi privati e pubblici, vigilati, prima a Cortona e poi agli essiccatoi umbri, saranno pagati da me e da Ristori! (6)

Se all’estrema scarsità di personale si fece fronte con l’abnegazione degli impiegati e la generosità dei volontari, fondamentale fu l’aiuto, in termini di fondi e di persone, di associazioni appositamente costituitesi, come il Comitato del Fondo Internazionale, l’Italian Art and Archieves Rescue di Londra, e lo statunitense Committee to Rescue Italian Art (CRIA), che contribuirono in modo sostanziale al recupero e al riconoscimento del materiale danneggiato. L’opera di tutela e di affiancamento della Soprintendenza ai privati e agli Enti che avevano visto i propri archivi danneggiati si esplicò anche attraverso l’emanazione di una circolare con cui si davano indicazioni tecniche per le operazioni di “recupero e conservazione del materiale archivistico alluvionato” (7). Si trattava di indicazioni dettate dal buon senso e dall’esperienza maturata nella prima fase dell’emergenza, che andava consolidandosi in ‘buone pratiche’, sebbene si fosse costretti ad ammettere che “si ignora quale sarà nel futuro il comportamento della carte e della pergamena venute a contatto con nafta e olii minerali”.

L’attenta osservazione dei danni provocati dai diversi agenti sulle carte e sulle pergamene, della risposta dei supporti scrittori e delle legature e anche della diversa efficacia dei metodi di essicazione tentati, si rivelerà fondamentale per la maturazione di un modus operandi sempre più consapevole. Scrive Renzo Ristori in una relazione del 9 ottobre 1967:

I danni più gravi sono stati provocati dal fango e dalla nafta, che in vari casi hanno rovinato in modo irreparabile il materiale archivistico colpito. La permanenza prolungata nell’acqua ha in genere portato alla perdita della colla che dava solidità e compattezza alla carta, rendendola inconsistente e facilmente lacerabile; gli acidi hanno poi provocato, in molti casi, il deperimento dell’inchiostro rendendo illeggibile la scrittura. La pergamena ha subito danni ancora più gravi, perché l’umidità ne ha provocato la decomposizione e la perdita di quella speciale sostanza fatta di calce e creta che anticamente veniva applicata sulla parte scritta e sulla quale aderiva l’inchiostro. Il materiale pergamenaceo ha inoltre la tendenza a deformarsi quando si asciuga ed a perdere quasi del tutto la originaria flessibilità.

Quello che segue non sembri un arido elenco. Deriva direttamente dalle relazioni dell’epoca e va letto come una sorta di breaking news dall’alluvione; gli archivi citati vi scorrono come i titoli sul teleschermo e passano davanti ai nostri occhi come fossimo ancora testimoni: l’Archivio Guicciardini Bardi di Vernio è recuperato grazie all’impegno dei proprietari, viene trasportato dalla Soprintendenza nella residenza della famiglia a Poppiano (fig. 4), qui interfoliato dai proprietari e da volontari; gli archivi Grifoni, Guasconi e Ripa di Meana vengono ricoverati e interfoliati in Soprintendenza, poi mandati a San Giustino Umbro; l’Archivio Vivarelli Colonna (fig. 6) – “gravemente danneggiato da acqua e fango e dalla violenza della corrente, rimasto sott’acqua per molti giorni per l’assenza dei proprietari, recuperato con notevoli difficoltà da volontari, vigili del fuoco e militari” –, viene trasportato al Centro di Raccolta di San Marco di Siena e interfoliato da volontari e personale dell’Archivio di Stato;l’Archivio Bombicci Pontelli (fig. 3) – “recuperato in tre volte successive in quanto si temeva che il pavimento fosse stato danneggiato, recupero effettuato da personale della Soprintendenza, da volontari e dai proprietari” – è trasportato all’Archivio di Stato di Perugia; l’Archivio Canevaro di Zoagli – “mai notificato perché se ne ignorava l’esistenza” – vien portato nella Villa di Poggio Secco, poi a San Giustino; l’Archivio Niccolini Alamanni – “recuperato solo il 18 novembre a cura della Soprintendenza a causa dell’assenza dei proprietari, danneggiato gravemente da acqua, fango, nafta” – viene portato in Soprintendenza e qui interfoliato dal personale e da volontari, poi inviato a Cortona e quindi a San Giustino; l’Archivio della Società di Belle Arti viene portato nel Centro di Raccolta di Cortona e qui interfoliato da volontari; l’Archivio della Società di San Giovanni Battista – “non sottoposto a notifica in quanto era sconosciuto” – recuperato e interfoliato da soci e volontari, viene trasferito a Cortona e qui nuovamente interfoliato; l’Archivio dell’Accademia degli Immobili – “non notificato in quanto non è mai stato possibile visitarlo” – per fortuna non danneggiato perché si trovava al piano superiore, viene comunque ricoverato nell’abitazione del Presidente dell’Accademia, …e si potrebbe ancora andare avanti, ma tanto basti per saggiare l’impegno e la fatica immane di quei giorni terribili.

L’alluvione del 1966 è anche questo: una prova di capacità operativa ed organizzativa, un test di tenuta sociale e insieme una frattura, un discrimine culturale. Arriva in pieno boom economico,quando nessuno ricorda il passato e tutti si sentono proiettati nel futuro, e sembra uno schiaffo intollerabile. Denuncia senza riguardi l’insopportabile fragilità del tempo, della storia e delle sue tracce e quindi anche l’impermanenza del presente. Non era successo neppure con la guerra che, per quanto distruttiva, era fortemente ancorata alla fiducia nel senso della storia (e comunque la guerra era ormai un ricordo lontano, totalmente estraneo alla nuova generazione): dal 1966 in poi sarà sempre più chiaro (nella storia, nell’arte, nella poesia, nella musica) che il tempo si è incrinato come uno specchio rotto e ci rimanda un’immagine frammentata di noi stessi.

L’impegno generoso di quanti combatterono per alleviare quella ferita e riparare, per quanto possibile, alle sue conseguenze rappresenta forse l’atto più commovente di cura misericordiosa rivolto dalla nostra epoca nei confronti di se stessa e della propria ulcerata identità.


  1. Antoniella 1967.
  2. La nozione di tutela e vigilanza in Italia si fa strada già in epoca preunitaria: in Toscana il decreto granducale del 27 agosto 1856 istituisce la Soprintendenza Generale agli archivi del Granducato con il compito non solo di gestire gli archivi concentrati nell’Archivio Centrale di Stato istituito a Firenze nel 1852 ma anche di vigilare sugli archivi degli enti pubblici non statali. La legislazione postunitaria tornerà a ribadire questo concetto con il primo regolamento archivistico del 1875 e con quello del 1911, ma bisognerà attendere il 1939 perché l’azione di vigilanza e tutela cominci a lambire anche il patrimonio archivistico privato e a definire con maggior precisione i compiti delle Soprintendenze Archivistiche, nell’ambito della più generale legislazione di tutela riguardante i beni artistici, storici e paesaggistici. Ma la scarsità di fondi e di personale e il coincidere della figura del Soprintendente con quella del direttore dell’Archivio di Stato rendono l’attività di vigilanza e tutela qualcosa di residuale, nonostante l’impegno generoso di alcuni funzionari e direttori. In Toscana, per esempio, fin dal 1940 molto si farà per conoscere e far emergere – attraverso censimenti ed ispezioni – soprattutto il patrimonio dei Comuni e degli enti di assistenza e beneficenza. Resterà difficile, invece, la vigilanza sugli archivi privati, per la mancanza di strumenti legislativi che rendano efficace l’azione di tutela. La vera svolta avviene nel 1963, con l’emanazione della prima legge organica sul patrimonio archivistico, che distingue in modo netto le competenze degli Archivi di Stato da quelli delle Soprintendenze, affidando a queste ultime il compito esclusivo della tutela e della vigilanza. Da questo momento in poi viene ad intensificarsi l’opera di sistematico censimento degli archivi degli enti pubblici, soprattutto comunali e si fa più estensivo il controllo sugli archivi privati. Per una efficace sintesi della storia della tutela archivistica in Italia e in Toscana si rimanda alle pagine curate da Emilio Capannelli sul sito ufficiale della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana.
  3. Queste relazioni, che riferiscono cosa venne fatto giorno per giorno, sono conservate nell’Archivio della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana, n. 39.
  4. Si tratta di archivi familiari come il fondo Guicciardini Bardi di Vernio (in particolare, le carte e le pergamene del feudo di Vernio), Bombicci Pontelli, Niccolini Alamanni, Vivarelli Colonna, Capponi, Canevaro di Zoagli, Guicciardini Corsi Salviati, Grifoni, Guasconi, Ripa Buschetti di Meana; archivi di istituzioni come quello dell’Istituto degli Innocenti, dell’Opera di Santa Maria del Fiore, del Comune di Firenze, del Conservatorio di Santa Maria degli Angeli, della Pia Casa del Rifugio di Sant’Ambrogio, della Società di San Giovanni Battista, della Società di Belle Arti-Circolo degli Artisti, del Gabinetto Vieusseux, dell’Istituto Storico della Resistenza, della Biblioteca e Museo del Risorgimento, dell’Accademia delle Arti del Disegno, dell’Accademia degli Immobili, dell’Università degli Studi, del Pio Istituto de’ Bardi, della Cassa di Risparmio, della Camera di Commercio.
  5. Si veda Prunai 1966a; Prunai 1966b; Prunai 1967a; Ristori 1966; Ristori 1967. Un puntuale lavoro di ricerca e di analisi sia sulla bibliografia che sulle carte è stato recentemente effettuato da Silvia Bianchi, Elisa Brunoni e Viola Fioravanti, nell’ambito del progetto 500 giovani per la cultura, svoltosi presso la Soprintendenza Archivistica. I risultati sono confluiti nel percorso virtuale La memoria nel fango. La Soprintendenza Archivistica per la Toscana e l’alluvione del 1966, accessibile on line dal sito della Soprintendenza Archivistica.
  6. Archivio della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana, n. 39.
  7. Copia della direttiva, che fu inviata ciclostilata a tutti gli Enti e i proprietari di archivi in Toscana si trova nell’Archivio della: Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana, n. 35. È riprodotta nel già citato percorso web: La memoria nel fango.

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