Mario Bevilacqua
Per una serie complessa di motivi, dal ’500 ai primi del ’700 la produzione di incisioni di architettura a Firenze è scarsa, e i capolavori rinascimentali della città, e il suo rinnovamento come capitale medicea, sono riprodotti solo sporadicamente. Nel ’700 una serie di impegnative realizzazioni modifica profondamente questa situazione. L’opera di Ferdinando Ruggieri, Studio di architettura civile (1722-28) rende disponibile una grande quantità di immagini di edifici del secondo ’500, mentre le pubblicazioni monografiche sul Duomo e la biblioteca Laurenziana diffondono rilievi affidabili. L’Architecture toscane di Grandjean de Montigny e Famin amplia il panorama rilevando e pubblicando opere del ’400 e precedenti, fiorentine e toscane, basandosi su immagini già disponibili o realizzando nuovi rilievi; i loro commenti alle tavole sono tratti, oltre che da Vasari, dalla più recente bibliografia, tra cui guide e repertori.
L’Architecture toscane, pubblicata in 18 fascicoli a Parigi tra 1806 e 1815, evidenzia e attualizza il rapporto tra il discorso sul Rinascimento in architettura, la sua rappresentazione, la sua standardizzazione, e la sua assunzione a modello per la contemporaneità.
Florence, par la simplicité, l’ordonnance et la pureté de ses édifices, est, après Rome antique, la ville la plus intéressante pour tous ceux qui étudient l’architecture, ou les beaux-arts qui ont quelque rapport avec elle. C’est à Florence que Le Poussin a trouvé la plus grande partie de ces beaux fonds qui transportent le spectateur dans une ville antique. Cependant les monuments de cette belle cité sont entièrement inconnus à tous ceux qui ne l’on pas visitée; car le style de ses édifices la distingue tellement des autres villes d’Italie, que les ouvrages qu’on a publiés sur celles-ci, ne peuvents donner aucune idée de l’architecture florentine[1]. Nell’introduzione all’Architecture toscane, ou Palais, maisons et autres édifices de la Toscane, Grandjean de Montigny e Famin stigmatizzano la peculiare situazione dello stato delle conoscenze sull’architettura rinascimentale fiorentina: a differenza di Roma, e di tante altre città italiane, per la capitale toscana, tanto ammirata da essere immortalata nei “beaux fonds” che evocano l’antico nei quadri di Poussin (notazione peraltro inconsueta)[2], non era disponibile un insieme significativo di immagini dei principali monumenti. Una lacuna sempre più avvertita, che l’opera avrebbe finalmente colmato, rendendo disponibile in tutta Europa una “esattissima” immagine di una città che par la simplicité, l’ordonnance et la pureté de ses édifices, est, après Rome antique, la ville la plus intéressante pour tous ceux qui étudient l’architecture, ou les beaux-arts... tout, dans cette cité imposante, porte l’empreinte de la grandeur et de la majesté.[3]
E se l’architettura del secondo ’500 – da Michelangelo a Ammannati a Buontalenti - era stata valorizzata nei tre volumi dello Studio d’Architettura civile di Ferdinando Ruggieri (1722-28, riediti in due volumi nel 1755 con l’aggiunta dei rilievi del Duomo e della biblioteca Laurenziana, le opere di Arnolfo, Brunelleschi, Alberti, e tanti altri “qui se sont montrés les dignes héritiers du génie des architectes grecs et romains”, vengono rilevate e analizzate per la prima volta[4].
Incisioni di architettura a Firenze tre Cinquecento e Seicento.
Come rilevato dagli stessi Grandjean e Famin, dal ’500 al ’700 Firenze non ha sviluppato una autonoma produzione di immagini delle sue emergenze monumentali, pure assurte a modello grazie a una letteratura artistica che proprio a Firenze nasce e matura fino all’esito normativo delle Vite vasariane[1].
A partire da Cosimo I, e almeno fino ai primi decenni del ’600, il forte rinnovamento urbano e architettonico che segna il nuovo ruolo di Firenze capitale dinastica è promosso, riconosciuto e studiato come modello forte nell’Europa delle corti. A fronte del peso della cultura artistica locale, in cui il ruolo dell’immagine a stampa è certamente riconosciuto, e della vitalità del mondo editoriale locale - dove pure agiscono realtà importanti come i Torrentino e i Giunti e il mercato librario gode di una domanda sostenuta e diffusa in tutti gli strati sociali[2] - colpisce la singolarità dell’assenza di una attenzione specifica, ufficiale ma anche commerciale, per l’editoria di architettura. Anche le opere fiorentine di Michelangelo, rimaste ambiguamente incomplete alla partenza dell’architetto dalla città, a differenza di quelle romane vennero riprodotte solo nel ’700.
Genealogie di immagini: S. Maria del Fiore e palazzo Pitti.
Su disegno di Cigoli, nel 1610 Matthäus Greuter eseguì un’acquaforte con la sezione e la pianta di coro e cupola di S. Maria del Fiore, con i profili quotati delle sezioni e delle piante delle cupole del Pantheon e di S. Pietro[1]. Come unico rilievo attendibile di parte della struttura, l’incisione di Greuter ebbe una singolare fortuna, venendo riprodotta successivamente soprattutto in relazione alle immagini architettoniche della basilica vaticana. Nicodemus Tessin copia dall’incisione i profili delle cupole nello studio della sezione di S. Pietro[2]; Carlo Fontana nel Templum Vaticanum (1693), e poi ancora G.B. Nelli, Sgrilli (1733), Leroy (1764), Durand (1801), Baccani (1820), Seroux d’Agincourt (1823), ne riprendono la sezione.
Nel 1628 veniva pubblicata per la prima volta una pianta completa della cattedrale nell’Architectura civilis dell’architetto tedesco Joseph Furrtenbach[3], che a Firenze era stato allievo di Giulio Parigi. Nuovi, più completi e attendibili rilievi sono eseguiti solo negli ultimi anni del ’600 da Giovan Battista Nelli, incisi e pubblicati nel 1733 da Sgrilli, da cui dipendono, pur con aggiustamenti e verifiche, tutte le pubblicazioni successive, compresa l’Architecture toscane[4].
L’architettura del Rinascimento fiorentino nell’incisione del Settecento.
Tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700 programmi eruditi e iniziative editoriali rivolgono una nuova attenzione all’architettura del Rinascimento, a cui non si era mai smesso di guardare attraverso Vasari: Arnolfo e Brunelleschi, più evocati che conosciuti, il Duomo e la sua cupola (di cui si avviano interventi di restauro strutturale nel 1696); i capolavori di Raffaello: palazzo Pandolfini; di Michelangelo: la Sacrestia nuova, la Laurenziana; e della generazione successiva, Vasari, Ammannati, Buontalenti, e i loro allievi[1].
In un diretto confronto con Roma, dall’inizio del ’700 la produzione di testi illustrati e incisioni di architettura si accelera. Consapevole del valore essenziale della conoscenza del monumento per ogni analisi storica e intervento di restauro, Giovanni Battista Nelli (1661-1725), allievo ed erede del matematico Vincenzo Viviani, a sua volta ultimo allievo di Galileo, "si messe a studiare il disegno, e l'architettura civile appresso Giovan Battista Foggini eccellente Scultore, ed Architetto. Nella qual facoltà si avanzò talmente, che da molte persone veniva richiesto del suo parere quando qualche importante edifizio si doveva erigere"[2]. Nel 1687 Nelli iniziò a rilevare le opere di Michelangelo a S. Lorenzo, che "misurò minutamente, e con rigorosa, e precisa esattezza disegnò sì in pianta, come in alzato, ed in profilo": i primi disegni in scala della Libreria e della Sagrestia Nuova.
Nelle parole di Voltaire sembra quasi toccare con mano il successo della straordinaria operazione editoriale di Ruggieri (e Bottari); gravure e architecture sono ricordate insieme come strumenti essenziali per il trionfo del bon goût, illuminato, razionale, contro la barbarie gotica, e, si può aggiungere, le opzioni tardobarocca, neogreca e neoromana del dibattito alla metà del secolo: come se i volumi dello Studio d’Architettura civile avessero fatto parte dell’orizzonte visivo del philosophe.
L’Architecture toscane di Grandjean e Famin è un punto di arrivo di un percorso complesso; e un punto di partenza, per la riscoperta del Rinascimento fiorentino e toscano, e, più in generale, per la fortuna del concetto stesso di Rinascimento, riportato alle sue radici quattrocentesche, ed escludendo in modo netto Michelangelo, i suoi contemporanei e successori, con forti censure soprattutto per Ammannati e Buontalenti, e sostanziale disinteresse per i loro allievi ed epigoni, al centro invece degli interessi di Ruggieri.

La fortuna dell’Architecture Toscane, che si inserisce nel più ampio contesto dell’interesse per la civiltà rinascimentale fiorentina tra ’700 e ’800, fornisce uno strumento, immediato e operativo, per una concreta visualizzazione della sua architettura. Una visualizzazione idealizzata che si arricchisce nel corso del secolo con le pubblicazioni di Cellesi, di Mazzanti e Del Lungo[1], e l’inizio della produzione commerciale di fotografie – a Firenze una vicenda precoce, che vede la rapida affermazione di immagini di architettura e vedute urbane con gli Alinari (dal 1854) e i Brogi (dal 1856)[2]. Una vicenda di lunga durata, che, poco meno di un secolo dopo, sfocia nella monumentale opera di Stegmann e Geymüller, Die Architektur der Renaissance in Toscana dargestellt in den hervorragendsten Kirchen, Palästen, Villen und Monumenten, il cui primo volume, dedicato alle opere di Brunelleschi, esce nel 1893.