XI. Plan et élévation géométrale de la Chapelle des Pazzi dans le cloître de S.te Croix, à Florence

 

Pl.  11. Plan et élévation géométrale de la Chapelle des Pazzi dans le cloître de S.te Croix, à FlorenceNella tavola Grandjean e Famin inseriscono sia il prospetto che la pianta della cappella.
La pianta, sostanzialmente fedele all’esistente, è priva di quote e dotata solo di scala metrica. Essa appare piuttosto schematica e isola la cappella dal contesto degli edifici adiacenti e dal chiostro che la precede. Nella pianta si riportano le membrature che articolano le pareti, la proiezione delle due cupole, la posizione dell’altare; viene inoltre delineata la panca in pietra che corre lungo le pareti dell’ambiente principale, seduta funzionale all’uso come sala capitolare. Nel portico mancano indicazioni sulle basi delle colonne e viene proiettata solo la cupoletta centrale. Ai lati della scarsella e con essa comunicanti, risultano due ambienti: quello di destra, sacrestia e insieme luogo di sepoltura per la famiglia Pazzi è ancora oggi annesso alla cappella; quello di sinistra, che poneva in comunicazione la cappella/sala capitolare con la chiesa di Santa Croce, oggi è parte del convento dopo la chiusura della porta sulla scarsella.
Il disegno della fronte, parzialmente quotato, con correttezza geometrica proietta sul medesimo piano il colonnato del portico e il muro frontale della cappella ma, rinunciando all’utilizzo di una tecnica di ombreggiatura, risulta privo di profondità.

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Sono riportate fedelmente le sei colonne con capitelli corinzi e base attica sulle quali posa la trabeazione interrotta al centro da un arco a tutto sesto; non sono invece indicati i piccoli tondi con teste di cherubini che decorano il fregio. Al di sopra della trabeazione e ai lati dell’arcata centrale si imposta l’attico, contrassegnato da esili lesene corinzie scanalate e rudentate, intervallate da specchiature divise a croce che gli autori ipotizzano, nel testo, dovessero ospitare marmi policromi, notizia che non trova altri riscontri.
La fronte del portico si conclude con una seconda trabeazione, tangente all’arco centrale e riccamente decorata nel fregio strigilato e nel cornicione; è conclusa a ciascun estremo da uno stemma dei Pazzi, assente in Grandjean e Famin. Su questa trabeazione posa il tetto a cavalletti lignei, completamento provvisorio della fronte. I due autori intervengono su questo elemento, ritenuto incongruo, e creano sopra l’attico un completamento di fantasia sostituendo alla tettoia un coronamento murario rettilineo.
La partizione del portico si ripete sulla parete esterna della cappella, mediante lesene corinzie scanalate e rudentate e trabeazione, elementi non visibili nella proiezione ortogonale della fronte disegnata da Grandjean e Famin, mentre risultano riportate le finestre archivoltate che trovano posto nelle campate e danno una diffusa luce all’interno della cappella.
Nel rilievo di Grandjean e Famin sono presenti alcune difformità, quali il disegno a conci della parete e la presenza di una cornice marca davanzale sotto le finestre, poco caratterizzate nella trattazione grafica. In particolare il frontone triangolare della porta di accesso alla cappella, tangente in sommità alla trabeazione, viene disegnato più in basso con una conseguente compressione della porta. Nel timpano gli autori inseriscono un disegno di fantasia in luogo dell’immagine di sant’Andrea, santo omonimo del committente, soggetto che torna nel tondo al di sopra della trabeazione, in asse con la porta, disegnato nella tavola in modo speculare al reale.
Nella parte superiore risultano alterate nel disegno le dimensioni del falso tamburo della cupola centrale, disegnato più basso del reale e privo di occhi; la cupola che nella realtà ha all’esterno copertura a tronco di cono con laterizi a squama di pesce, viene raffigurata come curvilinea con sesto ribassato. Non è riportata di conseguenza neppure la lanterna, esistente all’epoca e oggi modificata in un restauro di fine Ottocento che l’ha omologata a quella della Sagrestia Vecchia.
Nel testo si ribadisce l’attribuzione tradizionale a Brunelleschi anticipando la data di costruzione al 1420. A lui viene ascritto anche il portico, sulla scorta delle notizie al tempo disponibili: studi successivi hanno spostato la datazione a dopo la morte del maestro e assegnato, almeno l’esecuzione, ad altra mano. Grandjean e Famin, pur apprezzando l’armonia della piccola costruzione arricchita dal portico/vestibolo, ravvisano il permanere di un gusto “misto”, ossia la sopravvivenza di influenze gotiche, soprattutto nelle finestre aperte sul portico e nel raccordo dell’arco con le lesene dell’attico. Gli autori apprezzano le proporzioni della trabeazione, le lesene scanalate dell’attico e l’uso, in tutte le membrature architettoniche e nelle colonne monolitiche del portico, della pietra serena della quale ricordano però in nota la tendenza al degrado se utilizzata in esterni.